MARIA GRAZIA SAVIOLA GALLI
Opera 1a classificata
Senza luce
Il sole ha sfumature dipinte
stamattina, come se colori
scomparsi nei magma astrali
fossero riapparsi.
Forse i sepolcri hanno ancora
lacrime cucite ai silenzi,
mentre corpi trasudano
l’ultima materia rimasta.
I miei brandelli di coscienza
hanno l’estraneità del vuoto
siderale, quasi che, morire,
valga lo smarrirsi in un oceano
d’indifferenza primordiale.
Mi appartengo così, senza luce,
mescolata al caos di un cielo
crocefisso da vortici spirituali,
scomposta in pure vibrazioni,
al crocevia di strade che mi
inseguono.
È nell’audacia di esistere la
follia; ma ritornerò spirito al
tempo origine.
Mille anni aspetterò e mille anni
ancora mi serviranno per
incontrarLo
il Dio che mi si nega e si
frantuma nel dolore.
ANNA MARIA CARDILLO
Opera 2a classificata
L’età oscura
È l’età oscura, questa,
quando i giorni,
cavalcando sui venti,
passano così veloci
che li conti a spanna
senza di alcuno
accarezzarne l’ombra.
È l’età oscura, questa,
quando anche i ricordi
spengono la luce
e i torti
più non bruciano gli affetti
e le passioni
stingono i colori
nel grigio dei capelli
e degli sguardi stanchi.
Anche le insonnie,
smarrita l’ansia,
diventano torpori
e, nelle vane attese,
sogni si fanno i desideri.
Tutto si smorza
in questo tempo oscuro
e, mentre il giorno
s’acquieta nella sera,
si sciolgono le trecce,
si slacciano i legami,
gli occhi si chiudono…
Inutile guardarsi ancora intorno:
tutto è già visto,
tutto è già sentito,
tutto già è vissuto.
DENIS FORASACCO
Opera 3a classificata
A Odilon Redon…
Di forme e caos in un sortilegio
schizzò il mago la sua oscura visione,
vita dal sogno, nerbo e creazione
fra i guizzi d’un’ombra, l’estremo sfregio.
Oh, che grava mai su quell’orizzonte?
Copre di Glauce la febbrile veste
i cerchi mostruosi, le storpie teste:
vilipesi figli di un dio bifronte.
Sono Morte e Fama, l’occhio, la mente,
le eterne paure dell’intelletto
i guitti di un clown senza speme e gloria.
Sono re alla colonna della storia –
un astro perduto nel mare abietto
di un mistero onirico e del suo niente…
NEREO ZAVAGNIN
Opera 4a classificata
Uomo incognita 15
Al tetro rullare di tamburo
risponde:
nera conseguenza
del tuo sguardo
di cieco,
sfera sulfurea,
prigione.
Nella fissità apocalittica
tutto cade e si rinnova:
l’acciaio del tuo volto
si spezza e
si rivela.
Eccoci martoriati
dal liquido autunno
che tende l’invisibile delirio,
eccoci indefiniti
sulle incrinate sponde
del Niente.
PAOLO CAPELLA
Opera 5a classificata
Arte
Svetti un volo
Sulle nostre dignità;
Poi
Al divino getti
Un ponte e
Appari:
Tra i denti
D’avorio del
Pianoforte mostruoso e
Sui tendini
Tesi degli archi e delle
Chitarre,
Ombra sui fiati
Che scontano l’apnea
Dell’attesa e
Sulle tele morte
Come mappali e
Sui testi bianchi
Di poesia
Stramazzati al peso
Dell’inchiostro e
In ogni anima
Che ha bisogno
Di te.
CARLA TEDDE
Opera 6a classificata
Il cuore
Mentre la notte
se ne va sbadigliando
in fondo al cielo,
eterea si leva l’alba
stropicciandosi gli occhi.
Nessun rumore
è già così alto
da destare il paese dormiente.
Dai giardini e dai prati
s’alzano i sospiri lievi
dei fiori e delle foglie.
La mia anima,
svuotata da incubi notturni,
aspira delicate fragranze
e il cuore,
dimenticato sul davanzale ieri sera,
riprende il suo battito.
SERGIO BALESTRA
Opera 7a classificata
Canto balordo
Per tutte le terre disperate
canto,
con le mani crepate
e il nerofumo incarnito,
mani di carezze rudi
che fanno accapponar la pelle.
E ancora canto il riso
leggero dei bambini,
il sogghigno di creta
del novello profeta,
la luna di ricotta
e lo sterco di vacca,
la camicia di seta
e la vecchia casacca,
il covone di grano
che a falciarlo si suda,
si puzza, si bestemmia
e l’anima si sputa.
Canto balordo delle terre infide
Canto dei vivi e dei nati morti
Canto di fatiche e scure che stride
Canto di cristi grami mai risorti.
Terre gonfie di bombe e di mercanti
Terre avvelenate da mille torti
Terre sinistre, terre di briganti
Terre già fottute, senza più canti.
MARIA ROSA CORTI
Opera 8a classificata
Memoria di ieri e di oggi
Memoria di ieri…
Lanugine di gattici e un refolo di voci,
allegria di gioventù accalcata
nelle corti assolate a primavera.
Fiato del maggengo e un balenio di luci,
acqua di roggia che arrossisce
per baci rubati sul far della sera.
Memoria di oggi…
Opacità nebbiosa e l’urlo di una sirena,
eco d’angosce sconosciute
in strade sempre più affollate.
L’enter del computer e tutti i megabyte,
occhi di robot incapaci di vedere
la bellezza di un tramonto d’estate.
LENIO VALLATI
Opera 9a classificata
Altalene
Ricordi ancora
le altalene di Perm?
E il cielo azzurro?
E il vento che accarezzava
i tuoi capelli,
rossi papaveri
tra le spighe gelide
di un bianco mare?
La mia mano ti spingeva
lenta
mentre tu gridavi parole
di una lingua sconosciuta.
Ci sono ancora sai
quelle altalene,
e bimbi appesi
a dondolare al vento.
Nessuna mano, però
li spinge via
dal loro triste
destino d’abbandono.
GAETANO CUGNO
Opera 10a classificata
Fremito d’albore
Malinconia d’autunno
pioggia nella mia mano.
Fremito d’albore,
la cui voce è preghiera
trastullo di memorie
strette nel grembo di nuvole assorte
dal passaggio alato di angeli vagabondi.
Trasudo di emozioni.
Ripone i veli la notte,
e conta le sue perle
sciogliendo i neri capelli,
addormentati alle radici del tempo.
Porterà lontano le foglie
il vento,
se vorrà ascoltare il respiro della valle
e il frastuono di inappagate fonti.
Oltre l’incerto
inseguendo un sogno.
GIOVANNI MODA
Opera 1a classificata Sezione in vernacolo pavese
Una scelta ad vita
La barba longa, un paltò tut rutt,
Un pari ad guant cun fora i dit,
Una bursa in man, i òcc bass su i so pass,
Al camina cun i so idee, in un mond cl’è no par lù.
Al so nom là sa nisuna, da dua al vena ne sica al fa,
Lù al saluda e al rida a tutti anca chi as volta da là,
Ogni tant slonga una man, par un sold o un toc ad pan,
Pö al ringrasia e pian pian al và disinda grazie, bona giurnà.
Alghè i fiò che g’ridan drera, gh’è chi la vö no vëd,
Gh’è chi la cacia via gent insì na vöran mia.
Lù al consuma la so vita, dì par dì al và avanti in sì
Pasa i ann, pasa i stagion, quanti piàss, quanti stassion.
A ma dì, cl’è una scelta ad vita e che e lù ag’và ben in sì,
L’è la vita d’un povr’om, che la gent i ciaman cün un altar
nom.
Gniarà un dì che as farmarà quand al so nom al sintarà
L’han truà l’altra matina, l’han truà cun i occ sarà,
Al Signur l’ha ciamà in ciel, l’ha ciamà cül so nom ver,
L’era lì al fredd in un canton, l’ultim sogn suta un carton.
Adess l’è là in paradis,
L’è ciamà par nom da tanti amis,
Al so nom, una vera cà, anca lù adess al gà.
Là tlà piàssa, in un canton
Pugià al mur ghè restà un carton
Pù nisuna la ciamarà… barbòn.
Traduzione:
Una scelta di vita
La barba lunga, un paletò tutto rotto,
Un paio di guanti con le dita fuori,
Una borsa in mano, gli occhi bassi sui suoi passi,
Cammina con le sue idee, in un mondo che non è per lui.
Il suo nome non lo sa nessuno da dove viene ne cosa fa
Lui saluta e ride a tutti anche a chi si volta di là
Ogni tanto allunga una mano per un soldo o un pezzo di
pane,
Poi ringrazia e pian piano va, dicendo grazie e buona giornata.
Ci sono ragazzi che lo deridono, c’è chi non lo vuol vedere,
Chi lo caccia via, gente così non ne vogliono.
Lui consuma la sua vita, giorno per giorno va avanti così
Passano gli anni, passano le stagioni, quante piazze, quante
stazioni.
Mi ha detto che è una scelta di vita, che a lui va bene così,
È la vita di un povero uomo, che la gente chiama con un
altro nome
Verrà un giorno che si fermerà, quando il suo nome sentirà.
L’hanno trovato l’altra mattina l’hanno trovato con gli occhi
chiusi
Il signore l’ha chiamato in cielo l’ha chiamato col suo vero
nome
Era lì al freddo in un angolo l’ultimo sonno sotto un cartone.
Adesso è là in paradiso
È chiamato per nome da tanti amici
Il suo nome, una vera casa, anche lui adesso ha.
Là nella piazza, in un angolo,
Appoggiato al muro è rimasto un cartone
Più nessuno lo chiamerà… barbone.